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Le mani sulla montagna

No, non è un sequel de “Le mani sulla città” di Rosi, il film che nel 1963 denunciava i meccanismi della speculazione edilizia, mai applicati alla perfezione altrove come nel Ponente Ligure. Semmai ne sembra più una sua versione cinepanettonara, con gli stessi protagonisti, i Boldi e i De Sica di turno, impegnati a sfregiare la montagna dopo essere passati, come Attila, prima al mare e poi in città.
Perchè di questo si tratta: dopo aver rosicchiato tutto il possibile sulla costa, prima con i condomini, poi con le seconde case ed infine con i porticciuoloni, i nostri “eroi” si sono spostati sui monti, alla ricerca del loro solito miraggio turistico, (che per il territorio invece è triste presagio) quel circolo vizioso fatto di investimenti, strutture, servizi ed edilizia che continuano a chiamare sviluppo ma che è sempre più tristemente lontano dal progresso.

L’ultimo episodio di questa guerra al territorio è Monesi, dove il binomio neve-turismo-speculazione ha già duramente colpito negli anni ’60 – ’70.
Per lavoro, mi è stato chiesto di scrivere un testo promozionale per il sito del turismo della Regione Liguria: http://www.turismoinliguria.it.
La stagione fredda è agli inizi, tutti scaldano gli sci e progettano settimane bianche. E occorre promuovere anche i magnifici impianti sciistici e i poderosi skilift della Liguria. L’offerta in Italia è ampia, c’è da sgomitare sulla neve. Pensate solo al Piemonte con Limone o Sestriere o Prato Nevoso, alla Lombardia con Aprica e Bormio, fino al Veneto con Cortina D’Ampezzo. L’impresa è quasi biblica, da Davide contro Golia, ma la Regione Liguria, applicando un po’ il modello “federalista” che va per la maggiore un po’ dappertutto (in sanità, per esempio), vuole evitare al massimo l’esodo dei propri abitanti verso altri lidi e lanciare chiaro e forte il messaggio “La neve ce l’abbiamo anche noi”, insomma.
Solo che le altre regioni del nord hanno molte possibilità d’offerta, mentre in Liguria, nel Ponente Ligure, in particolare, tutto è concentrato in un solo luogo: Monesi. Che a Genova ci credano lo dimostra il recente ingente stanziamento per finanziare il secondo tratto della seggiovia in progetto a Monesi: di due milioni di euro.

Ma il problema è sempre il solito: è questa la direzione più giusta?
E’ giusto per 30 – 40 anni di sviluppo convertire irreversibilmente aree la cui destinazione è definita da migliaia di anni, travestendole di una vocazione che ha già fallito negli anni ’70.

Tuttalpiù di 30 – 40 anni si tratta: trasformare un luogo da agro-pastorale a turistico non è poi molto complicato, basta investire sulle strutture adeguate. Ma le strutture necessarie allo sci sono impattanti, non si parla solo della seggiovia, anche dei condotti per la neve artificiale che arriveranno per compensare il poco innevamento. E allora, perchè farlo se per i cambiamenti climatici stanno portando sempre meno stagioni nevose a Monesi?
Per cambiare il territorio ci vogliono pochi anni, per cambiare il clima, ci vogliono decenni, forse secoli. I tempi dell’uomo e quelli della natura non coincidono mai. Per cui, se a Monesi gli ultimi inverni hanno regalato una cospicua coltre di neve mentre il decennio prima la stazione era data definitivamente per perduta, è conveniente investirvi somme ingenti per far ripartire la stagione? Non si può pagare uno sciamano perchè faccia nevicare. Il rischio è investire, in tempi di spending  review e tagli, in qualcosa di effimero e vacuo come un fiocco di neve, che può anche non cadere.

Sul sito di Regione Liguria si può seguire per bene tutta la vicenda:
“Il costo dell’opera è di circa tre milioni di euro, di cui 800 mila euro da parte della stessa Provincia di Imperia. – Sia pure in zona ‘Cesarini’, tenuto conto delle incertezze legate alle possibili ricadute, anche sul territorio ligure, dei tagli e degli accorparmenti delle Province, insieme all’Amministrazione Provinciale di Imperia, la Regione Liguria ha  segnato un punto molto importante per la valorizzazione del comprensorio sciistico del Ponente ligure” ha commentato Cascino.”

Viene da chiedersi perchè tanta fretta per questa operazione di rilancio, proprio dopo che un decennio di latitanza della neve avrebbe fatto desistere chiunque. Suona come costruire stabilimenti balneari dove il mare si è ritirato, o nel Sahara. Perchè nessuno ci ha mai pensato? Forse non conviene.
La società gestisce Monesi, la Alpi Liguri Sviluppo e Turismo S.r.l., che doveva essere liquidata in seguito alle pesanti perdite, ha affidato la realizzazione della seggiovia alla Doppelmayr Garaventa S.p.A, un colosso svizzero degli impianti a fune. Ma chi usufuirebbe realmente di questi ultimi finanziamenti elargiti dalla moribonda Provincia di Imperia.

Perchè investire su questa vera e propria TAV alle pendici del Saccarello? Perchè invece non spendere (ops, si dice “investire” ) in progetti sulla cultura brigasca, o attività di turismo verde o eco-compatibile, la cucina bianca?
Le nostre montagne hanno la loro storia, la loro cultura, perchè asfaltarle per creare nuovi scenari da cinepanettone?

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Il senso del ministro per la neve

Possiamo parafrasare l’incipit di un vecchio telefilm:
“Provincia di Imperia, ultima frontiera. Eccovi i viaggi dell’astrosuv Skyhole durante le sue missioni quinquennali, dirette all’esplorazione di nuovi mondi, alla ricerca di nuove forme di vita elettorale, alleanze trasversali, inciuci. Fino ad arrivare là, dove nessun uomo (politico) è mai giunto prima…”

Potremmo aggiungere che, vista la settimana natalizia, il previsto aumento del flusso astronavistico nella nostra nebulosa, i cantieri perennemente aperti sull’A 10 e la società Astrostrade che preannuncia pesanti rallentamenti, sarà difficile per lo Skyhole avventurarsi in uno spazio più profondo di quello attorno al pianeta Chiusavecchia.
Del resto, chi è di casa nella nostra provincia ha poche alternative. Per restare in tema astrostellare: “l’Impero ti colpisce ancora”.

Dispiace che l’ex “ministru” sia rimasto bloccato per quindici ore in A 1. Dispiace certamente di più che invece non sia rimasto bloccato sull’A 10. Sì, perchè in quelle lunghe ore (confidiamo che la sua auto sia dotata di aria condizionata di ultima generazione e dunque capace di arginare il freddo), avrebbe avuto tempo e modo di pensare alla situazione dei trasporti in provincia di Imperia e alle difficoltà in cui si trova chi deve viaggiare al e dal ponente ligure.
Cosa non si fa in politica per rimanere sulla cresta dell’onda: mentre i suoi ex colleghi sono alle prese con i black block, Scajola s’è buttato sui white block. La sua scelta è caduta sull’auto (blu o no, quando sono bloccate nella neve non conta, sono tutte bianche); un imperiese, un sanremese, un ventimigliese o altro avrebbero potuto scegliere il treno. Magari uno qualsiasi dei regionali che da Ventimiglia raggiungono Genova. Come il 11285, un vero Galaxy Express, come quello dei cartoni animati, che, secondo l’orario, da Ventimiglia in soltanto 6 ore dovrebbe arrivare addirittura a S.Stefano di Magra. E lì il riscaldamento spesso è a fiato.

E se, per tirare fuori d’impiccio il nostro in autostrada, qualcuno avrebbe mandato uno spazzaneve (notizia ancora da confermare), sul treno una telefonata all’amico Moretti, Amministratore Delegato di Trenitalia, forse gli avrebbe procurato un pediluvio caldo alla stazione di Borgio Verezzi. Ma un ponentino qualsiasi sarebbe arrivato a destinazione stoccafisso.
Pubblico di seguito la lettera di una lettrice, ricevuta proprio venerdì, il giorno del grande freddo, relativa ad un viaggio Torino – Ventimiglia:

“Gent. Giarevel, devo ringraziare le ferrovie perchè danno ai passeggieri ogni confort e gentilezza. Tutto questo è detto ironicamente, perchè è quello che dovrebbe essere. Invece le ferrovie, dopo aver pagato il biglietto non proprio gratis, danno ai passeggeri un viaggio infernale. Potrei capire se tutto fosse dipeso da eventi naturali come in Toscana, ma nella tratta Torino – XXmiglia, per incuria e per mancanza di macchinista, a Savona ci siamo visti catapultati su un binario al freddo come nemmeno in un gulag della Siberia. Molte persone anziane ne potranno avere conseguenze in salute. Dopo aver atteso in tali condizioni, finalmente è giunto un altro treno, ed era intercity. Ci hanno detto che non avremmo pagato la differenza. Sai che regalo. Il treno era pieno, quindi era molto difficile trovare un posto. Con molta difficoltà attraversai il vagone e arrivai alla fine. Trovai uno scompartimento dove c’era solo un signore, che però mi impedì di entrare perchè era riservato ai ferrovieri. Qui si nota quanta sia la gentilezza dei ferrovieri. Pur vedendo la difficoltà della situazione, non c’è stata nessuna umanità nei confronti del prossimo.
E’ una vergogna che un treno venga soppresso solo perchè un macchinista finisce il turno e non ce ne sia uno di ricambio. Deve per obbligo dev’essercene uno reperibile. Invece, in malo modo da quel signore da solo ci veniva risposto che le ferrovie non ne anno altri e sono in deficit. Però il biglietto se lo fanno pagare e non poco per un tale schifo di servizio. Ci penserò due volte prima di prendere un treno.”

Anche se può suscitare l’ilarità involtontaria, questa mail descrive l’odissea quasi quotidiana di molti viaggiatori. Ma non ha avrà mai lo stesso spazio sui giornali del telefilm di Skyhole.

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Riviera Righeira

L’estate sta finendo, un anno se ne va. Il controesodo c’è già stato, scuole, aziende, uffici, fabbriche (quelle che resistono ancora), stanno per riaprire. L’ultimo piatto di rostelle l’hanno portato alla sagra di Pompeiana ad un biellese vegetariano. I signori Pautasso di Trofarello hanno chiuso con una infuocata mazurka i balli in Darsena, ad Arma di Taggia. Il MOAC ha ammazzato anche le ultime speranze di vacanza esotica con gli stand made in Taiwan.

Settembre, tempo di bilanci. E’ finito il regime, la dittatura del turista. Dunque l’A 10, l’Aurelia, le ferrovie e le spiagge tornano tutte o quasi per noi, ora possiamo tornare a occuparci dei nostri problemi e lavare i nostri panni sporchi in casa nostra. Prima era dura: guai a parlare di certe cose tra giugno, luglio e agosto; la crisi, il traffico, le tariffe dell’autostrada e della ferrovia, la fognatura, l’edilizia, i porticciuoli, la mafia. Roba che fa fuggire i turisti con i capelli dritti. Ma ora si può. Le panchine di piazza Colombo, nuovamente affollate di perdigiorno maggiorenni dopo il controeditto del sindaco Zoccarato, sono la sede ideale. E accomodiamoci allora, aspettiamo qualcuno e parliamo di com’è andata questa estate.

Era cominciata male, con le dimissioni del divo Claudio. Sembrava che in provincia di Imperia non si potesse fare più niente. Del resto si sa: a Imperia non si muove foglia che Scajola non voglia. Invece, è bastato aspettare poco per rendersi conto che c’erano problemi ben più grossi: uno è l’autocombustione di bar e ristoranti. Un altro locale andava a fuoco a Sanremo: il Big Ben.
Poi scoprimmo di avere una risorsa straordinaria, qualcosa che faceva eccellere la nostra provincia: il movimento terra. E ci accorgemmo che c’erano luoghi, come Bordighera, in cui il movimento terra muoveva tutto, qualsiasi cosa, anche i voti a favore del sindaco Bosio e dell’onorevole Minasso. Poi è arrivata la prima risposta della gente: il 15 luglio alla fiaccolata contro le mafie c’erano più di mille persone. Non importa quasi come sia andata, che Zoccarato si sia arrabbiato, che qualcuno si sia nascosto dietro stendardi o vessilli di partito. L’importante è che si sia cominciato a parlarne, anche se c’è qualcuno che preferisce ancora sempre e solo negare.

Poi arrivò il caldo, ma non si poteva fare il bagno: a Sanremo era esplosa la fognatura. Qualcuno ha pensato che, per farsi pubblicità, Sanremo volesse imitare New Orleans con una marea nera tutta per sè. Ma la nostra non è stata causata dalla BP, era tutta roba naturale, produzione propria.
Risolto anche questo problema, l’estate poteva iniziare davvero. Bagni, tintarella, sagre e movida. Non ci siamo fatti mancare nulla.
Nemmeno il tormentone: Belen o non Belen? La soubrette, ovviamente, non la tipica imprecazione apotropaica ligure. Prima Zoccarato che non la vuole, emettendo un editto pure contro di lei. Poi vabbè, controeditto (l’ennesimo), e non se ne parla più, del resto Belen non è mica Morgan, in fondo, si sa (proprio lì), ha qualche dote in più, cosa vuoi che sia se ogni tanto si fa qualche sniffata.
E lo shopping? Saranno venute quest’anno le famiglie saudite in via Matteotti? E’ un must: se non vengono è una disgrazia, porta sfortuna, un po’ come per la liquefazione del sangue di San Gennaro a Napoli.
Per fortuna Sanremo ha conquistato il suo posto nel nuovo Monopoly. Ironia della sorte, però, il Casinò comparirà in Vicolo Stretto.
Sul fronte delle manifestazioni, straordinaria ma purtroppo involontaria l’iniziativa messa a calendario insieme da Arma di Taggia e Riva Ligure: il bombardamento simulato. La sera del 7 agosto, le due località avevano in programma entrambe i fuochi artificiali. Impossibile accorgersene prima, riunire attorno ad un tavolo qualche assessore, programmare la serata. La musica del caso ha fatto il resto. Così, partiti a soli 15 minuti gli uni dagli altri, gli spettacoli pirotecnici delle due località hanno per un momento ricreato in Riviera l’atmosfera vissuta a Beirut l’anno passato. In pochi chilometri si passava dalle salve al fosforo ai traccianti della contraerea.

Ma la povertà dei programmi è stata un po’ la costante estiva di quest’anno. Tra sagre stanche in cui ormai si spende come al ristorante e serate o mercatini, iniziative spesso concomitanti, ripetute magari identiche nella città vicino e senza molta creatività, era un po’ come stare in un villaggio vacanze grosso da Diano Marina a Ventimiglia.
Ovviamente impossibile rintracciare nei programmi estivi dei nostri comuni un’offerta che potesse definirsi vagamente culturale. Per trovare qualcosa, anche molto valido, bisognava abbandonare la costa e buttarsi nell’entroterra dove tra l’altro si godeva anche di una bella temperatura. In val Nervia, Isolabona, Apricale sono un buen retiro assieme a Bajardo, che ha ospitato “Il bosco racconta” bella mostra di Dino Gambetta. In Valle Argentina Molini di Triora d’estate si riempie di artisti inglesi e tedeschi, Triora con Strigora offre sempre brividi: se non sono di paura almeno si sta al fresco. Sul litorale si salvano solo i giardini Hanbury, mentre Ospedaletti ha preferito rimediare con Franco Neri al flop del festival jazz, ricco di nomi ma poco seguito.

Per chi oltre alla tintarella non ha rinunciato a pensare è arrivata per fortuna Mafiosissima. Qualcuno (Strescino) s’è arrabbiato, ma quanti ragazzi vanno alla spiaggia nel nostro paese per parlare di mafia e economia, per ascoltare Marco Preve che parla della “Colata” che sta coprendo le nostre coste, per sapere da Sebastiano Venneri vicepresidente nazionale di Legambiente che la Liguria è ai primi posti per le Ecomafie. Dopo l’oblio estivo è anche questo un modo per riappropriarsi della propria terra.
Infine è arrivata sprecopoli a Sanremo e lì siamo proprio tornati nei nostri panni, pochi gli ombrelloni sotto cui nascondersi. Per fortuna, ultima notizia davvero estiva, la sanremese ha comprato un attaccante argentino a fine carriera. Il circo può ripartire.

Ma l’estate in Riviera dura sempre meno. Qualcuno dice che sia finita ancora prima di cominciare. Come il rapporto appena arrivato sui tavoli della provincia per il piano di coordinamento territoriale: l’immagine della Riviera si sarebbe molto appannata, causa di una “generazionale e parassitaria politica di investimento nel mercato immobiliare cui non è corrisposto un adeguamento dell’offerta”. Sotto accusa le case costruite negli anni ‘60 e ‘70, obsolete e sono non appetibili per ospitare i turisti, la scarsa mobilità urbana e i problemi con quella ferroviaria. Occorrerebbe, come minimo, “un’azione di marketing di promessa e valorizzazione che contenga il più possibile lo scarto tra le aspettative del visitatore e quello che realmente trova”. Parole dure, ma vere, occorre riconoscerlo.

In Riviera gira la vecchia canzone dei Righeira. L’estate sta finendo. O è finita davvero. Lo sai che non mi va.

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Per chi soffia nella vuvuzela

Il problema rifiuti è ormai il tormentone, la vuvuzela dell’estate nel Ponente ligure. Giunta a “tappo” la discarica di Collette Ozotto a Taggia e chiusa la discarica di Ponticelli che per anni ha servito i comodi di un’amministrazione, quella di Gianni Giuliano, che non ha mai preso in seria considerazione la realizzazione di un’alternativa al sistema vetusto di gettare e comprimere i rifiuti in modo indifferenziato in una discarica, il nuovo presidente della provincia Sappa si trova ancora una volta di fronte il problema.

Che sia Scarpino, giudicato inadatto, che sia Vado, su cui probabilmente convergeranno i compattatori della provincia di Imperia nei futuri mesi, si tratterà comunque di una soluzione provvisoria, temporanea alla decisione di risolvere in loco il problema dello smaltimento rifiuti con la realizzazione un impianto di separazione in regione Colli a Taggia -impianto contro cui si sarebbe già formato un comitato di cittadini – mentre Ventimiglia balla da sola, allettata dalla proposta di smaltire i suoi rifiuti a Chambery, sopra Grenoble.

Tutte le soluzioni probabili o meno, dovranno però fare i conti con la loro incidenza sui cittadini, attraverso la TARSU che sembra destinata a lievitare, al pari del volume delle eco-balle con i nostri rifiuti sotto il sole estivo.

Ma la vuvuzela dei rifiuti sembra destinata a non esaurirsi con la fine dell’estate (e dei mondiali), bensì a continuare, a divenire una situazione cronica il Ponente ligure.

Questo perché, dalle nostre parti come nel resto d’Italia, non ‘è ancora formata quella coscienza che alcuni potrebbero chiamare ecologica, altri semplicemente civile, ragionevole, che considera il “rifiuto” come una risorsa da cui trarre materie prime e risparmiare energia. Tutt’altro: la spazzatura, la nostra “rumenta” va nascosta, sotterrata, allontanata a spese del cittadino per non disturbare proprio coloro che la producono. Tuttalpiù va distrutta, bruciata con un qualche tipo di inceneritore (oggi la stessa cosa si chiama con molti nomi, inceneritore, termovalorizzatore, gassificatore) come ha sostenuto recentemente il sindaco di Sanremo, Zoccarato: ma si sa, a Sanremo si risolvono molte cose con il fuoco ultimamente, il sindaco dev’essersi fatto prendere la mano pensando che la camorra potesse risolvere il problema.

Non abbiamo ancora raggiunto quella maturità che permette agli altri esseri viventi di lasciare il luogo che hanno attraversato come l’hanno trovato: noi c’impegnamo anzi ad arricchirlo, lasciandoci residui di ogni tipo, anidride carbonica, idrocarburi, metalli pesanti e ceneri, possibilmente radioattive, in modo da farle durare un pochino di più.

Su tutti il caso di Rocca Croaire, tra Taggia e Castellaro: quella che era un cava di puddinga (si chiamano così i conglomerati di ciottoli e materiali derivanti da sedimenti naturali) è diventata nel tempo luogo preferito in cui stipare qualsiasi tipo di materiale di scavo e di risulta, rifiuti comuni, gomme e motrici di camion. Addirittura contenenti amianto. Questi materiali, legatisi ai depositi di limo essiccato, renderebbe quella zona molto pericolosa per le polveri che vi si formano durante le giornate di vento, oltre che per la presenza di diossine, diserbanti, oli e combustibili. Sono già diversi i casi di tumore e le malattie riscontrate nella zona.

E’ quello che ha denunciato il circolo Legambiente “Valle Argentina” nell’esposto che ha presentato alla Commissione Europea ed al Dott. Guariniello della Procura di Torino in relazione alla cava nel comune di Castellaro.

Ormai è un meccanismo consolidato nella Liguria di Ponente: le cave che servirono un tempo per i cantieri dei condomini sulla costa, per la speculazione edilizia, dopo un certo periodo di abbandono (il che non vuol dire, ovviamente bonifica) sono diventate progressivamente luogo adatto a stipare ciò che non serve più, buone per la speculazione immondizia. Ciò a tutto vantaggio di amministratori e imprenditori poco responsabili che trovano dove mettere i rifiuti e pure dei proprietari che scoprono una fonte insperata di guadagno dove invece avrebbero solo spese. A tutto danno dell’ambiente e di chi abita nelle vicinanze.

Chi è fortunato se ne accorgerà solo quando pagherà la TARSU. La tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani è destinata ad aumentare nella nostra provincia. Portare i rifiuti a fare un viaggetto fuori provincia ha dei costi e questi ricadranno sui cittadini naturalmente.

Con un’alternativa: che perdurando da molto tempo questo stato di cose, i cittadini stessi per una volta non pretendano delle “royalties”, ossia decidano di far pagare la tassa ai responsabili, a quelle amministrazioni che in anni di governo non hanno fatto nulla ma hanno chiuso gli occhi, prorogato concessioni, evitando di guardare le offerte delle nuove tecnologie, senza studiare una soluzione definitiva.

Continuando, di fatto, a soffiare nella vuvuzela.

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Votare stanca

Noi elettori, a primavera si sta come i manifesti elettorali per strada. Dopo anni di buongoverno, mesi di campagna elettorale e giorni di par condicio, alle elezioni ci s’arriva davvero stanchi, fiacchi, sfibrati. I politici non s’immaginano quanto pesante sia il nostro compito. Molto più del loro.
Ci son da valutare programmi, offerte, ammiccamenti; lusinghe, piaggerie, regalie; cerchiobottismi, colpi di spugna, inciuci. Ciò che non hai avuto in dieci anni te lo promettono per 60 giorni.
Abbiamo letto tutto: fondi, editoriali, interviste; dichiarazioni, smentite, repliche; precisazioni, proclami, diktat; sentenze, grida, anatemi.
Abbiamo la nausea di quando la storia fa a botte con la memoria.
Abbiamo partecipato, volenti o nolenti, a incontri, convention, tavole rotonde; cene, aperitivi, matineè; tribune, comizi, sproloqui; tenzoni, duelli, polemiche. In tv, in radio, sui giornali; sul bus, in panetteria, al bar; sul lavoro, a casa, in chiesa.
Ci hanno detto cosa faranno, cambieranno, manterranno; cosa separeranno, uniranno, aboliranno; cosa abbasseranno, alzeranno, contingenteranno; cosa tuteleranno, investiranno, riformeranno. Hanno promesso lavoro, salute, sicurezza; famiglia, welfare, PIL; pensioni, mutui, detrazioni; cultura, pari opportunità, ambiente. E anche che gli altri faranno tutto e il contrario di tutto di quello che faranno loro, che sono loro i veri cattivi, che chi non vota bene non fa nemmeno bene all’amore.
E noi buoni buoni a sorbirci tutto. Non un santino è andato perduto. Non un pasticcino è rimasto nei point elettorali. Non un palloncino rosso o blu è volato via.

Insomma, i politici come al solito han fatto solo il loro mestiere. Ma il mestiere di eleggere è molto più duro. Non ce ne voglian se siamo ancora indecisi. Se quella crocetta a pochi giorni dalle elezioni non sappiamo ancora dove metterla. E’ solo colpa nostra: siamo dei cattivi elettori.

Altrimenti, come ve lo spiegate che da quarant’anni non cambia nulla nonostante si succedano governi, giunte, consigli; alleanze, intese, patti; crisi, rimpasti, compromessi?
Non abbiamo forse mai imparato a votare. Non è così semplice mettere una crocetta su un simbolo, su un nome, su un polo; barrare una casella, vergare un “si” o un “no”; scrivere addirittura un cognome.
Spesso portiamo la tessera elettorale troppo vicino al cuore o al portafoglio, qualcuno la usa addirittura come bancomat. La usiamo una volta l’anno arrogandocene il diritto e poi discriminiamo magari quell’altra, sua sorella, quasi uguale, che serve per pagare le tasse.
E nel seggio, quando entriamo nel gabbiotto elettorale, lo scambiamo spesso per un confessionale: Dio ti vede, chiunque altro no. Ricordatelo.

In questo periodo, pare a noi stessi di vivere la vita segreta dell’urna: i nostri condomini sono alti come gli istogrammi degli exit pool; per strada al rosso ci si ferma, al verde si va, ma il giallo boh, a discrezione del rappresentante di lista; all’ipermercato non facciamo più la spesa: scegliamo chi governerà la nostra dispensa; a volte per una ruga o una piega sui jeans ci sentiamo nullità.
Ma il peggio viene dopo. Prima lusinghe poi puddinghe; prima ebbrezze poi certezze; prima individui poi residui. Diteci qualcosa di più, vorremmo avere più notizie di noi.

Dunque, non ne possiamo più, è un calvario. Votare, cari politici, stanca. E quest’anno alla fine, lo faremo ancora, andremo ai seggi con le borse sotto gli occhi e, tirandoci dietro flebo di sensi di colpa, decideremo ancora una volta per l’unico partito che ci priverà di questa fatica.

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