Archivi categoria: Cronache del Sol Ponente

Anniversario scomparsa Italo Calvino

Mi unisco anch’io ai post sull’anniversario della scomparsa di Italo Calvino.

Il giorno dopo, però, perché me ne ero dimenticato e ora corro ai ripari, come si fa per un parente, uno zio, di cui hai dimenticato l’anniversario. (Menomale ora c’è Facebook).

Caro zio Italo, in tanti anni che non ci sei, sono cambiate molte cose.

A ponente ci sono molti meno alberi, un po’ bruciano un po’ li tagliano: a Sanremo hanno tagliato pure i pini sul porto, non saprei dove potresti saltare di ramo in ramo per scendere al mare dalla Madonna della Costa.

La floricoltura, ahinoi, non se la passa granché bene: delle serre che tuo padre guardava orgoglioso non rimarrà presto soltanto l’effetto che ne porta il nome.

La speculazione edilizia, quella, invece, fiorisce rigogliosa e spinosa come i bougainville, tanto più ora che aspettiamo la manna del Recovery Fund (per spiegarti, hai presente il piano Marshall?)

La Resistenza? Qualcuno ne parla ancora, ma da troppo dura questa gran bonaccia, altro che le Antille, e quelli là già stanno tornando: speriamo di non dover andare a cercare di nuovo tra i nidi di ragno per uscirne fuori.

Più di tutto, oggi, ci manca un po’ di leggerezza. E speriamo che questa notte d’inverno passi in fretta…

E poi c’è questa cosa che rende le città invivibili più che invisibili, un virus per cui non bastano mascherine o distanze sociali: l’egotismo esasperato, il nascisismo col fiato corto, l’individualismo pret-à-porter, per cui si vive dimezzati tra una vita insipida e l’armatura vuota che ci costruiamo online per cercare qualche secondo di celebrità sui social.

Lascia un commento

Archiviato in Cronache del Sol Ponente, Letture

Salviamo il leviatano

Da Repubblica di sabato 22 agosto 2020

Taggia, avvistata una balenottera. “E’ Codamozza”

Una balenottera mutilata, con parte della coda mancante, è stata avvistata dai ricercatori dell’Istituto Tethys, a circa un miglio dalla costa di Arma di Taggia, in provincia di Imperia. Potrebbe trattarsi di Codamozza, già avvistata sul versante genovese del Santuario dei Cetacei. I segni di stress sono inequivocabili: manca, infatti, il lobo destro della coda e c’è un taglio profondo sul peduncolo caudale, dopo la pinna dorsale, che fa pensare a una ferita causata dall’elica di una nave. […]
– Era emaciata e carica di parassiti. L’abbiamo scortata per evitare che le barche si avvicinassero troppo acuendone lo stress – spiega Caterina Lanfredi, vicedirettore del Cetacean Sanctuary Research di Tethys l’associazione no profit che ha sede a Portosole a Sanremo – questo nuovo avvistamento è uno choc anche per noi.


Quando ho letto quell’annuncio di lavoro pensavo fosse uno scherzo.
“Cercasi psicologo per balene. Astenersi perditempo”. Cosa vuoi che abbia una balena in mezzo al mare, pensai, che soffra di solitudine? Poi decisi di mandare il curriculum: la laurea l’avevo, ma la specializzazione no, tantomeno in cetacei. Bisognava solo saper nuotare e aver letto cose come Pinocchio, il libro di Giona o Moby Dick. Il nuoto m’è sempre stato antipatico, ma con gli amici alla boa d’estate ci sono sempre arrivato. Sulle letture me la sono cavata scaricando un podcast poco prima del colloquio.

Capii tutto il primo giorno di lavoro. Altro che scherzi. Non siamo più ai tempi di Achab e dei balenieri: ore di attesa, vedette sui pennoni a scrutare l’orizzonte per scovare spruzzi e pinne. E Pinocchio e Giona non correrebbero nessun rischio di finire nella pancia di una povera balena. Al giorno d’oggi, trovare una balena, nel Mediterraneo, tra Sardegna e Liguria, nell’area che hanno chiamato “Santuario dei cetacei”, non è poi così difficile.

Ma, vedete, non bisogna confondere ciò che succede sopra il livello del mare con ciò che accade sotto. Giù, sotto la superficie, le cose vanno diversamente. Non c’è nulla per miglia, tutto è un muro blu. Ma poi, incontrare qualcosa o qualcuno non è così difficile. Le balene si trovano scambiandosi segnali sonori. Canti, click, suoni con cui si indicano i banchi di pesci per i mangiare e con cui dialogano o si corteggiano. Una balena è in grado di percepire questi rumori a parecchie miglia di distanza. Oggi però il fondo del mare è tutt’altro che muto. In mare c’è un po’ di tutto. Motori fuoribordo, acquascooter, sonar, eliche di portacontainer: un silenzio assordante. Per una balena dev’essere come avere un’autostrada trafficata sulla porta di casa.
E poi, loro malgrado, anche se sono mammiferi, le balene sono diventate dei veri VIF (Veri Important Fish): tutti le vogliono, tutti le cercano, tutti le fotografano. Questi poveri cetacei non hanno più un momento tranquillo. Nemmeno il tempo di venir su a respirare, che arrivano barche scoperte cariche di whale-watcher e turisti armati di macchine fotografiche e smartphone a caccia di un trofeo come in un safari. Figuriamoci se possono corteggiarsi e accoppiarsi. Potete ben capire che le balene non ne possono più. Gli effetti dello stress sono un po’ gli stessi dell’uomo, ma ventimila leghe sotto il mare. In tanti anni di attività ne ho viste di tanti tipi: orche bipolari che un momento prima fanno capriole a Marineland e un momento dopo precipitano negli abissi; delfini narcisisti; megattere anoressiche, beluga bulimici. Sono animali intelligenti e sensibilissimi, spesso come e più dei loro antenati sulla terra.

Io come curarle non so. Non esistere un lettino abbastanza grande su cui ascoltarli e nessuno ha ancora inventato il whalium. Noi ricercatori ci limitiamo, tuttalpiù, a qualche carezzina e a un’acciuga, quando è possibile. Ma è una goccia in mezzo al mare.

Più di tutte è Codamozza a preoccuparci. Il mare dei nostri tempi non è stato gentile con lei: le manca il lobo destro della coda e ha sulla pinna dorsale un taglio profondo provocato dal contatto con un’elica.
L’abbiamo incontrata nelle acque davanti a Genova: il suo canto era basso e lamentoso, quasi un mugugno. Sarà l’influenza della zona, ci siamo detti.
Ma dopo l’ultima volta che l’abbiamo vista ci stiamo preoccupando per lei. Era davanti ad Arma di Taggia, nemmeno troppo al largo, un miglio circa dalle coste piene di bagnanti e ombrelloni. Di certo, una cosa l’ho capita in questi anni: quando una balena si avvicina troppo alla costa, le cose non vanno molto bene. La costa, il confine tra le acque e la terra, sono per loro come il confine tra la vita e la morte. Per molte la terra, la costa, sono un richiamo irresistibile, alcune non riescono a sfuggirvi e vi s’avvicinano sempre di più, finché non restano spiaggiate.
Codamozza non stava bene: magra, perdeva pezzi di pelle e aveva molti parassiti. Non abbiamo potuto far altro che scortarla al largo per evitare che qualcuno le desse fastidio.

Ma ciò che non è accaduto oggi può succedere domani. Se non è Codamozza sarà Pinnarotta o Petrodoglio. Forse esiste un Achab in ogni essere umano. Come faremo allora a evitare che da santuario dei cetacei questo mare si trasformi in cimitero?

Lascia un commento

Archiviato in Cronache del Sol Ponente

Ceci est la frontière, cheri

Che noia questa estate.
Al mare, in Riviera, si sbuffa. Sempre sole, sempre caldo, c’è sempre sto Caronte e i suoi fratelli nordafricani, bel tempo ovunque. Nemmeno un piccolo nubifragio, una “bomba d’acqua” che sventri qualche casone disabitato nel giro di 50 km da leggere sul giornale o ascoltare dal Tg.
Abbiamo tutti sfogliato tutte e 50 le sfumature di grigio e ora rimpiangiamo i film con la Fenech e la Bouchet: Rete 4, da quando Toti è stato eletto Presidente della Regione Liguria non li trasmette più.

Non ci sono nemmeno più i vacanzieri di una volta. Quei milanesi, quei torinesi, quei veneti che c’invadevano per due mesi e si portavano da casa anche la carta igienica. (Già, con le megaofferte ai centri commerciali a Taggia abbiamo tolto loro pure questo sfizio). Ora solo visite mordi e fuggi.

E allora? E allora dagli col razzismo. Dagli col clandestino, con il “magrebino di m…”, dagli con il “neger” di turno. E dagli con la patria, il “noi” e “loro” e compagnia bella. E’ il tormentone dell’estate.

Così ha fatto la sig.ra Elena Donazzan, Assessore all’Istruzione, alla Formazione, al Lavoro e alle Pari Opportunità della Regione Veneto.

In vacanza a Sanremo, la Donazzan ha subito il furto delle bicicletta. E’ un fatto purtroppo ricorrente dalle nostre parti. Con l’arrivo della ciclabile sono arrivati anche i ladri di biciclette.

Se, stanchi di sfumature o di sole cercate una lettura spassosa, leggetevi il post che la Donazzan ha fatto su Facebook: https://www.facebook.com/DonazzanElena?fref=nf
Lo copioincollo qui perchè tra un annetto non se lo ricorderà più nessuno:

Ore 2345. Io e Vittorio usciamo dal ristorante in centro a San Remo. Amarissima sorpresa! Ci hanno rubato le mountainbike che avevamo chiuso per bene col lucchetto. Troviamo solo uno dei due lucchetti. Dopo qualche secondo di sconforto ci monta la rabbia e iniziamo a ragionare. Ci viene in mente di chiedere a quelli che affittano le bici sulla più bella ciclabile d’Italia. Vittorio spiega ai più prossimi noleggiatori, che ci danno qualche indicazione , quanto ci fossero care affettivamente le nostre bici – la mia è vecchia ma me l’ha regalata il papà e quella di Vittorio é la sua fidanzata!!!- e si inoltra a cercare le due biciclette in mezzo ai magrebini ( cosa non semplice e piuttosto pericolosa a quest’ora…) in zona stazione . Nel frattempo io riconosco la mia bici con sopra un magrebino di m…..la MIA bicicletta. Lo blocco, questo scappa e io come una pazza urlo che il bastardo l’avevo individuato. A quel punto é guerra. Il patriota Vittorio inforca la mia bici e a seguito di segnalazioni di una ragazza di Perugia che si ferma con la sua auto – certamente una Patriota in questa guerra tra stranieri ladri,malviventi e noi italiani – si mette a caccia della sua Specialized e dell’altro bastardo.In mezzo al buio in una zona distante dal centro becca tre magrebini, si fa giustizia da solo e riporta a casa l bici tra lo stupore dei noleggiatori autoctoni ….risultato : Magreb 0 Italia 2 ( le nostre bici tornate a casa) 1 in fuga….diciamo che i magrebini non avranno più tanta voglia di rubare le nostre bici se avranno il dubbio che vi sia un Patriota Camerata pronto a farsi giustizia.
Viva l’Italia e gli italiani che non piegano la testa.

Il resoconto è dettagliato come un cinegiornale dell’Istituto Luce. Il “Patriota Vittorio” ha fatto giustizia. I “magrebini di m.” dovranno cercarsi un’altra occupazione: finchè Vittorio sarà in giro nessuno ruberà più una bicicletta.
Chissà se il Patriota Camerata riuscirà anche a risolvere il problemi del ponente ligure, che so, il lavoro, gli incendi, il lotto 6 di Collette Ozotto.
Ma meglio non provare: tentammo già questa strada 80 anni fa e sappiamo tutti com’è andata a finire.

Sarà per questo che poi la Donazzan nel post successivo s’è scusata? Per un errore di mira politica? Oppure per la marea di insulti a sfondo razziale? O perchè qualcuno nei commenti successivi le ha fatto “gentilmente” notare, con lo stesso tono e linguaggio che stava scrivendo delle cavolate? Chi di facebook ferisce di facebook perisce. Ecco le scuse della Donazzan:

Alle anime belle che si sono scandalizzate per il linguaggio, voglio solo dire che ero molto, ma molto arrabbiata. Insomma, trovarsi di sera tardi in mezzo a della gente dedita a spaccio e furti e dal coltello facile,non rasserena di certo.
Tanti sono stati coloro che mi hanno raccontato episodi analoghi, insicurezza crescente dovuta quasi sempre alla presenza non ordinata nè controllata di stranieri. Mi chiedo se il linguaggio sia stato troppo forte per questa situazione insostenibile, non solo per me, ma per tutte le persone che vogliono vivere tranquille.

Sarà, ma le scuse sono ancora peggio del post. Le  sue scuse sono il solito modulo di moda in questi tempi, del tipo: “Sono stato frainteso”, “Ero molto arrabbiato”. Nessuna retromarcia per aver collegato ad un fatto di cronaca degli insulti razzisti, nessuna scusa per aver incitato l’odio razziale.

Da “patriota” del ponente ligure questo posso dire alla Donazzan: it’s the border baby. Ceci est la frontière cheri. Questa è la frontiera, cara.
Se invece che sedere tranquilla in un bel ristorante di Sanremo scendessi per strada a Ventimiglia, ti accorgeresti di come brucia. Qui non si scherza, qui parole che senti ronzare come Schengen, Dublino 2003, sans papier, passeurs, sono realtà.
Anche quando vai in vacanza a Sanremo, non smetti di essere assessore. Per di più. all’Istruzione.

4 commenti

Archiviato in Cronache del Sol Ponente

In macchina sulla ciclabile Area 24

L’altra sera in tv ho visto qualcosa di davvero assurdo. Non era tardi, era in fascia protetta, alle 20.30,  con i bambini e famiglie davanti allo schermo.
C’era un’auto che correva su libera una pista ciclabile.
Mi sono scosso, stropicciato gli occhi: non poteva essere. Pensavo fosse uno scherzo. Eppure quella nelle immagini era una pista ciclabile, ne ero sicuro. Quella curva, quel parapetto, quel mare, li riconoscevo. Era tutto vero: era la ciclabile Area 24, poco dopo Santo Stefano al Mare.

La Fiat (d’ora in poi dovremmo chiamarla “FCA” – senza la “I”, come dice Crozza) ne ha fatto un’altra: lo spot della nuova Fiat Punto Lounge è stato girato sulla Pista Ciclabile Area 24, esattamente nel tratto tra Santo Stefano al Mare e San Lorenzo.

Nelle immagini, la Punto scorrazza ad alta velocità sulla pista ciclabile deserta, mentre sullo schemo compaiono le dotazioni di serie, Tom Tom Go Live, lettore radio CD/Mp3 con comandi al volante ecc. (Non eccezionali mi sento di dire, le auto giapponesi ce le hanno da anni, Marchionne: svegliati!).
Una musichetta allegra accompagna il tutto. Come uno che mi stia raccontando un segreto: ps…ps… passo di qui, sul mare, tanto non c’è nessuno, che m’importa se è riservato alle bici? Come nella peggiore delle commedia all’italiana.
Guardate lo spot qui: https://www.youtube.com/watch?v=3iDy00Mf-i0&feature=youtu.be

Mi sento particolarmente ferito da questa reclame, forse perchè mi offende due volte, come come ciclista e come ponentino.

Come ciclista e attivista Fiab, perchè così vanno in fumo mobilità sostenibile.  Proprio recentemente ho partecipato ad un convengo (ad Arma di Taggia, a due passi da Area 24), in cui si parlava della pista ciclabile Area 24, definita il fiore all’occhiello delle ciclabili in Italia, e come tale promossa all’estero.
Oggi, anzichè vedere realizzati i buoni propositi di quell’incontro (promozione su canali di turismo “slow” su scala europea, convenzioni con le strutture ricettive ecc), vedo la ciclabile percorsa da un’auto e mi chiedo: ma che penseranno i danesi, i tedeschi, gli inglesi e i norvegesi che vedono tutto su youtube? Che su Area 24 circolano le auto? E’ questa la promozione del territorio tanto desiderata e annunciata?

Il danno d’immagine non è trascurabile. La pista ciclabile Area 24, è da molti considerata la più bella d’Europa e come tale è stata candidata al concorso per la migliore greenway europea. Il tratto tra San Lorenzo e Santo Stefano al Mare, dove lo spot è stato girato, è ormai inconfondibile. Chi lo vedesse, in Italia e all’estero potrebbero credere che sulla ciclabile Area 24 possono correre le automobili.
E non c’è nulla di più sbagliato. Ciò contribuisce alla solita confusione all’italiana, al solito pastrocchio. Consentire riprese del genere è stato a dir poco opportuno: si rischia di vanificare la promozione ecosostenibile del territorio che le amministrazioni perseguono con tanto impegno (come fece qui Sanremo http://adbgenova.it/it/homepage/notizie/sanremo-la-pista-ciclabile-piu-bella-d-europa ).

Come figlio del ponente ligure lo smacco non duole di meno. Quando venne dismessa la ferrovia a mare, ci vollero anni perchè su quel tratto di binari venisse fatto qualcosa. Visti i precedenti in speculazioni edilizie, si sperava nel meno peggio. Molti volevano metterci le mani: industriali, albergatori, costruttori, palazzinari e politici. Qualcuno, l’onorevole a sua insaputa, propose la soluzione a tutti i mali: una metropolitana di cristallo o una corsia supplementare all’Aurelia.
Quando arrivò la notizia che vi sarebbe stata costruita una lunga ciclabile non credetti ai miei occhi:  per una volta si progettava qualcosa di respiro internazionale e non una miope scelta locale; una volta tanto si gettava la provincia di Imperia in Europa. Area 24 è il simbolo di una battaglia vinta contro il degrado (ambientale e culturale) di una parte di Liguria e d’Italia, una cosa che non possiamo permettere venga inquinata dallo spot di FCA, società originata da quella FIAT che ha condizionato e condiziona attualmente la mobilità in Italia.

Ora, mi chiedo, accadrà ancora? Davvero siamo condannati a marcire in un abitacolo con Tom Tom Go Live, lettore radio CD/Mp3 ecc., quando fuori ci sono agavi, mare e gabbiani? Ma davvero riusciamo a godere di quel mare solo dal finestrino di un’auto? Ma la leggerezza e la spensieratezza, quella musichetta allegra di quello spot, sono possibili soltanto in macchina? E, peggio, se qualcuno un giorno ci andasse davvero in macchina, su quella strada, per accorgesi poi che è una pista c-i-c-l-a-b-i-l-e?

Lascia un commento

Archiviato in Cronache del Sol Ponente

La zattera di Ginestra

Tutto cominciò senza che nessuno se ne accorgesse. Qualche strada di campagna interrotta, alcuni maxei, i muretti a secco che, come i corsetti di una vecchia signora, da sempre arginano gli anni che avanzano, venuti giù e mai ripristinati, qualche crepa nei solai dei villini in collina ad inquietare i proprietari. Ma era un’abitudine e nessuno se ne lamentò.

Poi i treni cominciarono ad accumulare ritardi e l’autostrada ad aumentare le tariffe, andare nel Ponente Ligure, in provincia di Imperia, diventò sempre più costoso e impegnativo in termini di tempo e denaro. Come se le strade, le vie per raggiungere Imperia e Sanremo, si stessero improvvisamente allungando.

Ma pochi ci credevano: era tanto l’amore per la loro terra che continuavano a pendolare o a tornarvi spesso, ad ogni costo.

I sospetti ebbero la tragica conferma un giorno piovoso di gennaio: un terrazzo probabilmente abusivo, costruito a picco sulla ferrovia è crollato sui binari trascinandosi metà della collina. Un treno è deragliato e s’è sfiorata la tragedia.
L’Aurelia poi, da millenni l’unica via di comunicazione, era interrotta a causa di una frana proprio nei dintorni di Andora. Da allora la ferrovia è chiusa e quel treno giace ancora lì, come un relitto. Fu così che, a Imperia, abbiamo perso il treno e anche la ferrovia. Non resta che la statale, che costringe a lunghe peregrinazioni nelle campagne.

Qualcuno ha detto che se non fosse stato quel terrazzo a crollare, sarebbe successo a qualcos’altro, un villino, un palazzotto edificato negli anni ’60 in prossimità dei binari e la statale prima o poi sarebbe anch’essa venuta giù, dimenticata di fatto dall’ANAS.

Certo che solo allora nella mente di ingegneri, architetti, geometri e in quella dei pendolari, quelli che tutti i giorni vanno  e vengono in questa terra, s’è instillato il dubbio: ma che succede? E se il Ponente si stesse allontanando? E se la provincia di Imperia si stesse separando dal resto della Liguria?

No, apparve a tutti un’idea impossibile. Giornalisti ed esperti ci misero un po’ a convincersene. Poi qualcuno consultando le immagini dal satellite se ne accorse. In realtà, voleva solo vedere le previsioni meteo per il weekend: ma fu proprio allora che, apertosi un grosso buco nelle nuvole proprio in corrispondenza di Sanremo, si ebbe la tremenda conferma: il Ponente Ligure era diventato un’isola, s’era staccato. Non c’erano più dubbi: da Cervo a Ventimiglia la terra s’era allontanata dal resto dell’Italia.
Anzi, dal resto della Liguria, perché un pezzo di questa rimaneva attaccato: la frattura correva lungo il tracciato dell’A 10. Era una linea di confine perfetta, da ricalcare sulle cartine.

Nessuno si spiega come la cosa sia potuta avvenire. Nessun cataclisma, nessun movimento tellurico, nessun terremoto. L’unica piccola faglia, quella che corre sotto Bussana e che tanti lutti aveva causato nel lontano 1887, non è mai stata così tranquilla. La mente corre altrove, in Indonesia, Messico oppure California, dove sta accadendo la stessa cosa: ma a San Francisco sono più attenti, preparati, attendono da anni “the Big One”, il grande terremoto che li staccherà dal resto del continente.

Infine anche i politici, per ultimi, sono stati costretti a prenderne atto: il Ponente, come una zattera, sta allontanandosi, va alla deriva.
La “zattera di Ginestra”, così hanno cominciato a chiamarla, perché la zona dove s’è staccata, ai confini dell’A 10, d’estate, è gialla di ginestre fiorite.

Ma perché è successo? Possibile che nessuno se ne sia accorto? Forse l’incuria di anni, forse troppe speculazioni sul territorio e molte meno sulla gente che lo abitava, pochissimi scrupoli sull’ambiente e molti di più sui conti del Casinò, hanno amputato alla Liguria una delle sue estremità. Ma nei palazzi non hanno pensato a correre ai ripari: hanno invece cominciato il solito balletto delle responsabilità. Una parte accusava l’altra di aver mollato gli ormeggi per i propri tornaconti; l’altra di navigare a vista, senza rotta, da decenni. Qualcuno ha detto che si voleva imitare il vicino esempio monegasco con risultati fallimentari: anche lì, a Montecarlo, infatti, esaurito lo spazio per i palazzi sulla costa, stanno pensando di creare un’isola in mare per costruirne altri.  Ma loro possono farlo.

Un noto politico ha proposto di stendere grandi funi e tirare, tutti insieme, per riattaccare la zattera di Ginestra. Ma, a sua insaputa, dall’Italia nessuno aveva intenzione di tirare per riattaccarsi città e comuni intossicati da infiltrazioni di ‘ndranghetisti, nemmeno durante il famoso Festival: aderì solo qualche massone e una decina di pensionati torinesi.

Ora, ci si chiede dove la zattera di Ginestra stia andando.
Subito s’era avvicinata alla Francia. A bordo si pensava che un buon posto fosse il Golfo di Saint-Tropez: nemmeno troppo lontano, appena dopo Cannes, un posto pieno di palme e Casinò. Ma appena avvistata la zattera, da terra hanno risposto un secco “No”, dicendo essere già stati saccheggiati dagli imprenditori italiani e dalla mafia. Oltre il danno la beffa: proprio così s’erano difesi a Taggia dai pirati che arrivavano proprio da Saint Tropez.

Ora la zattera punta a sud. Ma Corsica e Sardegna hanno già chiuso le capitanerie: i primi sono stanchi dei parigini, i secondi dei milanesi.
L’unico disponibile ad un attracco, seppur temporaneo, è stato il porto di Gioia Tauro, in Calabria. E non costerebbe  nemmeno troppo sforzo: confrontate le coste di quel tratto  e quelle della zattera del Ponente. Combaciano perfettamente.

2 commenti

Archiviato in Contromano, Cronache del Sol Ponente