Ivan è una persona scrupolosa. Lo è nel suo mestiere, nella ricerca accurata di ingredienti e ricette, negli abbinamenti di cibi e vini; lo è nella sua attività nell’amministrazione comunale, dove è Consigliere Comunale con delega all’ambiente. E lo è anche all’interno della Compagnia Santa Maria Maddalena del Bosco: Ivan Lombardi è uno dei cuochi – il giorno della festa fa da mangiare per 500 persone – ma anche uno dei due Configuranti, il più esperto, del Ballo della Morte. E’ forse con grande accuratezza che ne parla, senza dimenticare o trascurare il più piccolo dettaglio, nemmeno le proprie memorie personali, in modo da far trasparire l’importanza che questo aspetto ha nella sua vita.
Ivan, com’è cominciata per te questa avventura?
Sono Maddalenante da sempre, ho 47 anni ma sono 44 anni che salgo alla Madaena e partecipo alla festa. Ma la mia “prima volta” è stata da esterno, da fuori.
Andò così: ho sempre vissuto il mondo Scout, e una volta, da ragazzo, a San Romolo di Sanremo, ci fu una riunione di zona in cui ognuno doveva portare qualcosa rappresentativo del proprio paese. Io scelsi di portare il Ballo della Morte. Ricordo che nel gruppo c’erano molte persone che facevano anche parte della banda di Taggia, la Pasquale Anfossi, dunque in molti sapevano cos’era il Ballo della Morte, ne conoscevamo la musica e la coreografia. Quella volta, però, poiché ero Maddalenante, fui destinato io a fare il Ballo. Stranamente ad accompagnarmi fu una donna, Gianna Panizzi. A volte, lontano dalla festa di luglio, è successo che una donna facesse il ballo: mia madre, ad esempio, lo fece con il padre di Renato Varese, proprio il Renato con cui io poi ho fatto il Ballo per anni. Dunque da molto tempo io amo la Madaena e il Ballo della morte.
Così, quando morì Bazurìn e si cercava un sostituto per fare il Ballo assieme a Renato, mi proposi io di farlo. Renato accettò subito entusiasta e decisero di farmi provare. Andammo da lui, al ristorante, la Trattoria Enza: tutti i Maddalenanti si misero intorno, come in un cerchio per vedermi e valutarmi. La prova andò bene e da allora sono io uno dei due che fanno il ballo.
Con quale ruolo sei partito?
Da subito, con Renato, io sono partito facendo il Morto. Ma poi, quando è arrivato Davide, abbiamo deciso di alternare i ruoli: un anno io faccio il Morto e lui fa u Vivu e viceversa l’anno dopo. Siamo i primi a farlo. Diamo anche nomi diversi ai ruoli: u Mortu, il Morto invece che la Lena, u Vivu anziché u Masciu, anche se questo era già stato Renato a farlo.
Come ti trovi con Davide Giuffra?
Con Davide ci siamo subito trovati bene. C’è una sintonia perfetta, un rapporto prima di tutto di amicizia personale, di rispetto, qualcosa che va oltre i ruoli che interpretiamo nel Ballo della Morte. Io e lui siamo cresciuti insieme, vivevamo entrambi nello stesso condominio, siamo amici fin da ragazzi. Era scritto che eravamo destinati a fare il Ballo insieme. Ci vogliamo bene, nessuno dei due vuole prevalere sull’altro ed essere il protagonista. Dunque la decisione di alternarci ogni anno è arrivata serenamente, fa piacere a entrambi.
Ma i vecchi come hanno preso questa decisione di alternarvi?
A dir la verità, non l’abbiamo chiesto a nessuno, è venuta e basta. Ed è stata una delle poche cose accettate subito da tutti, di comune accordo. Forse perché la gente si è accorta che noi il ballo lo sentiamo davvero, ce l’abbiamo dentro.
Che cos’è per te la Madaena? Perché ci tieni così tanto?
La Madaena per me è la festa della morte. La presenza della morte e dalla rinascita è continua in questa festa. Io la amo perché, nella Madaena, facciamo rivivere i nostri vecchi che l’hanno celebrata prima di noi. Perché esistono due tipi di morte. Quella biologica, del corpo, è nulla in confronto a quella dello spirito, all’oblio. Ebbene, noi, alla Madaena festeggiamo i nostri vecchi che ci hanno creduto, li riportiamo in vita. Ogni anno, ritornano nei nostri discorsi: “Te lo ricordi Stin u Cau”, oppure, “Te lo ricordi Renato”, “Marciantelli” e altri. Sono ancora vivi, tra di noi.
Basti questo aneddoto: quando mio padre fece il Contestabile, nel 1963, mio nonno stava morendo e non voleva andare alla festa. Ma mio nonno lo chiamò a sé e gli disse: “Giacomo, tu ci devi andare, perché questo non è il nostro paese” – mio padre era di Terzorio – “devi portare alto il nostro nome. Stai tranquillo, io ti aspetterò”. Mio padre allora va alla festa e fa il suo dovere di Contestabile: la partenza, il ritorno, l’entrata in paese, il lancio della lavanda. Poi, finita la festa, scese da cavallo e salì in auto e tornò a Terziorio. Entrato in casa, trovò suo padre a letto: “Ciao Giacomo, hai visto? Ti ho aspettato”. E morì. Andò così davvero. Ho la pelle d’oca a raccontarlo.
Negli anni successivi, mio padre salì alla Maddalena, oltre che per la festa, per ricordare mio nonno.
Questo è il vero valore della Madaena. Questo è quel che ci porta a trasmetterla e anche ciò che piace così tanto a chi la vede per la prima volta: noi Maddalenanti, in quel momento, abbiamo un’aura che ci fa trasmettere questa sensazione agli altri. La conferma di questo è vedere arrivare sempre nuova gente, persone che non erano di Taggia, come, ad esempio, molti immigrati dal sud, come Micolucci, Antonio Leone, Nino Romeo e altri.
Torniamo al Ballo della morte. Come lo vivi? Come ti prepari alla performance?
Io vivo il Ballo della Morte come una preghiera. Quando lo recito, per me, è come dire un Rosario. Io mi ci immergo, mi ci calo dentro completamente. E’ come se cadessi in una trance, concentrato nel suo sentimento e ciò che devo fare arriva senza neanche pensarlo. Sento forte l’impegno di trasmettere ciò che sto facendo, vorrei che a tutti arrivasse un pochino di quello che sento.
Per questo dico che il Ballo per me è una preghiera: perché c’è una morte, una rinascita e un ringraziamento finale. E’ un cerchio che si chiude e si riapre, come in un infinito. La mia speranza è che coloro che verranno dopo di me facciano lo stesso, per far rivivere la festa. Questo è il nostro impegno, che ci porta a trascurare le tutte interferenze che comunque ci arrivano da fuori o i problemi che abbiamo al nostro interno: perché sappiamo tutti che il valore va oltre noi. Le feste che non hanno valori, alla lunga, muoiono. La Maddalena no. Quel ventisette di luglio muore per noi un anno, ma ne riparte un altro.
Quindi voi due, tu e Davide, sentite questa responsabilità, il peso di questo rito quando ballate?
Il Ballo della Morte non è una semplice farsa di due uomini che mimano l’atto amoroso. Su questo, scherzando, potremmo dire comunque, che noi a Taggia, sulle unioni di genere, siamo sempre stati avanti!
Ma non bisogna banalizzare una cosa che arriva da lontanissimo, nel tempo e nello spazio. Un anno, a febbraio, all’altra festa di Taggia, quella di San Benedetto Revelli, una ragazza spagnola, ascoltando per caso “Balla balla saccu de paia”, la cantilena del Ballo della Morte, la riconobbe come una nenia cantata anche dalle sue parti, sui Pirenei. Per trovare un caso simile al nostro, occorre andare al Carnevale Bianco di Cegni, in provincia di Pavia, nel Ballo della povera donna. Ma il rito di Taggia resta comunque unico.
Nel farlo, io non ho mai ceduto alle movenze più scherzose, all’aspetto più goliardico, partendo dal presupposto che lo intendo come una preghiera. Il Ballo, nel suo valore ufficiale non va banalizzato e va preso sul serio. E’ qualcosa che va capita se non ci si ferma in superficie, non sono semplicemente due uomini che ballano. Dietro c’è una storia, un sentimento.
Ti trovi meglio a fare u Mortu o a Viva?
Mi trovo bene in tutti e due i ruoli. Mi pare di saperlo fare da sempre. Al Morto, che è una figura statica, bisogna a dare un carattere più definito, non da comprimario. E poi, cambiano con i tempi, cambiano le persone, cambia il Ballo della Morte.
A volte penso che il ballo più vero cui potremmo assistere sia quello fatto da due bambini, perché sarebbe il più spontaneo e libero, forse ne uscirebbe la sua essenza più vera.
Non proviamo mai il ballo fuori dalla Madaena. Lo facciamo solo poche volte all’anno. Ogni volta qualcosa viene spontaneo, ci sono situazioni diverse da comunicare.
Il Ballo per noi è un’espressione artistica, di comunicazione.