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Un fumetto con i testi di Marino Magliani e le tavole di Marco D’Aponte. A vent’anni dal libro, un nuovo modo per rivivere una grande storia
In una Lisbona abbacinante, nell’agosto del 1938, un tranquillo giornalista deluso dalla vita conosce un giovane irrequieto e scopre una possibilità di rivincita in una Europa che puzza di morte. Chi non conosce la storia di Sostiene Pereira?
Il romanzo di Antonio Tabucchi, un grande della nostra letteratura, scomparso troppo presto nel 2012, uscì, nel lontano 1994. Vent’anni fa. Allora vinse il Premio Campiello e attirò le solite polemiche: venne definito un libro bugiardo sul rapporto fra letteratura e potere e allusivo all’allora presente (la discesa in campo di Berlusconi). Ma il tempo ha dimostrato quanto fossero miopi quelle critiche. Sostiene Pereira è sopravvissuto a quella stagione politica ed arriva ancora a noi potente. È una di quelle storie che sanno di assoluto.
Lo conferma la versione grafica del romanzo, appena uscita da Tunuè, con i testi adattati da Marino Magliani e i disegni di Marco D’Aponte. In vent’anni, ciò che una volta si chiamava fumetto ha cambiato nome e ora si chiama graphic novel, ma ciò non toglie nulla, bensì illumina questa grande storia.
Il nitore con cui D’Aponte delinea l’estate di Lisbona, i ritratti dei personaggi, mai abbozzati ma rifiniti nei particolari, lo storyboard, fedele al romanzo, concordano con i testi di Marino Magliani nel rendere i contrasti del romanzo: luce/buio, amore/odio, amore/violenza, vita/morte. Oppure la resa del tempo che passa, come afferma Paolo Di Paolo nella prefazione.
La matita di D’Aponte ricalca l’immaginario di Tabucchi. Ecco rua Rodrigo da Fonseca, la sede della redazione culturale del Lisboa, dove Pereira lavora. Solo. Poi il Cafè Orquidea, dove Pereira beve limonate e cena a base di omelettes. Nonostante sia troppo grasso e il suo cardiologo glielo abbia proibito. Oppure la Iglesia das Mercês, dove Pereira va per parlare con Padre Antonio. Perché Pereira è cattolico, ma non riesce a credere nella risurrezione della carne.
Ma quella del 1938 è anche una Lisbona livida di uomini in divisa, grigia fucili, nera di morte, come era tutta l’Europa alle soglie della Seconda Guerra Mondiale. Anche se, a volte, c’è spazio per qualche azulejo.
Impossibile, invece, rendere graficamente quel Sostiene, una formula troppo potente che rimane un monito, una notifica, con quel tanto di formale, di giuridico che ha del kafkiano: ma a quale processo viene sottoposto Pereira? Quello della letteratura? Quello della storia? Forse solo a quello, inarrestabile, della sua coscienza.
Nessun personaggio è esente da dettagli. E D’Aponte riesce nella difficile operazione di non far rimpiangere il volto che a Pereira diede Roberto Faenza, quello di Marcello Mastroianni.
E se dentro Monteiro Rossi e alla sua fidanzata Marta c’è l’energia che sconvolgerà la vita di Pereira, grotteschi, espressionisti sono i ritratti dei fascisti, che richiamano i quadri di Grosz. Caricaturale la figura di Pietade, la portinaia spiona di Pereira, che causa un persistente odore nel portone con le sue fruttate (chi seguì le lezioni di Letteratura Portoghese di Antonio Tabucchi in via Cairoli a Genova sa che pure lì c’era un odore persistente. Ma era di minestrone…).
Il Pereira di Tabucchi, non è un antieroe, è un eroe a tutti gli effetti. Questo ci dice questo grafic novel, la stessa cosa del romanzo. L’eroe non è solo colui cui che ha un suo angolino nell’epica o una persona dotata di superpoteri. È soprattutto colui che ha il coraggio di incidere con le proprie azioni, per piccole esse siano. Il Pereira di Tabucchi emerge così dalla mediocrità passo dopo passo, scegliendo di distinguersi dai volenterosi carnefici, i burocrati impegnati nel funzionamento della macchina nazifascista, come li chiama Daniel Goldhagen. Tutti i Pereira, loro malgrado, sono degli eroi. Chissà, se ci fosse stato qualche Pereira in più, forse la terribile ecatombe della guerra si sarebbe potuta evitare?
Oggi i critici di vent’anni fa potrebbero dire: da questo romanzo era già stato tratto un film, c’era bisogno di farne un graphic novel? Ancora una volta la risposta è sì. Perché le grandi storie necessitano di più immaginari, di media diversi. E in questo caso il mezzo vale proprio il messaggio.
Giacomo Revelli