Antonio Micolucci, classe 1939, è un caso straordinario, ma non insolito, per fortuna. Capita che qualcuno arrivato da fuori, un “fuestu” come si dice a Taggia, si appassioni alle tradizioni e alla cultura del luogo dove si trova a vivere. Ma non accade così spesso che questo fatto avvenga con la forza e la passione che Antonio mette nella Madaena. E’ tale il suo attaccamento a questa festa, che la cosa va oltre l’affannosa ricerca di nuove radici e la necessità di integrazione: originario di Montefino, in provincia di Teramo, della Madaena Antonio ha sentito l’appello evocativo, ne conosce il richiamo ancestrale che giunge dal passato, di quell’eremo perso nel bosco conosce il potere aggregante, oltre che ogni anfratto. Questo lo ha portato a entrare a fare parte attiva della Compagnia e a essere Contestabile nel 1985 e Segretario dal 1999 al 2005.
Antonio, come sei arrivato a diventare un Maddalenante?
Arrivai a Taggia nel 1960 e nel 1964 conobbi mia moglie Maddalena, figlia di uno storico Maddalenante, Cicin Seian. Lavorando io come coltivatore diretto e sapendo usare le macchine, i trattori e le ruspe, nel 1978 venni interpellato per fare la strada carrabile per l’Eremo. Posso dire che la mia passione per la festa sia cominciata da lì. Mi sono messo subito al servizio della compagnia non mi sono mai tirato indietro.
Fu un grande impegno per tutta la Compagnia quella strada, ma, guardandola ora, se ne riconosce pienamente l’importanza, l’utilità…
Non fu facile realizzare quella strada. Purtroppo non fummo fortunati con il tempo. In quell’aprile del ’78 ci furono moltissime piogge che impregnarono il terreno. Ovunque ci furono grosse frane. Una, in particolare, colpì la zona attorno alla strada. La ruspa che usavamo per spianare il sentiero rimase in bilico su uno scoglio e fu davvero un miracolo della Santa se non venne giù. Anche Gianni Puè che mi aiutò molto con la ruspa, rischiò di rimanere travolto mentre stava controllando se c’erano stati danni all’Acquedotto di Vignai. Molti non ci pensano, ma fu davvero un’impresa: nel ’78 ormai le mule non si trovavano più e senza una strada carrabile l’eremo della Madaena sarebbe stato impossibile da raggiungere. Oggi alla festa all’Eremo salgono 500 persone…
Oltre che il Contestabile, tu hai fatto anche un’esperienza da Segretario. Come sono stati quegli anni?
Fu particolarmente difficile. Nei sei anni dal 1999 al 2005 se ne andarono alcuni dei Maddalenanti più importanti. Figure che per noi giovani erano fondamentali, come Renzo u Capu, Niculin da Villetta, Elio da Dora e altri. Scomparse pesanti, difficili da sostituire in tempi brevi. Per noi fu un colpo piuttosto duro: fummo costretti, in un tempo brevissimo, ad abbandonare l’idea giocosa e goliardica della festa, il divertimento, per pensare agli aspetti seri e ricostruire il direttorio della compagnia. Io, personalmente, adottai la scuola di Renzo u Capu, dando importanza al Contestabile: quando si saliva all’Eremo prima doveva venire il Contestabile, poi il vice e subito dopo il Segretario e l’Amministrazione. In sei anni abbiamo anche fatto cose che sono valide tutt’ora, come il museo, un patrimonio collettivo. Dopo tutti questi anni capisco tutto, anche ciò che non mi piace, l’importante è che sia per il bene della Compagnia.
Che cos’è per te il Ballo della Morte?
Conosco bene il Ballo della Morte. Ho rivestito molti ruoli nella Madaena, ho fatto il Segretario, il Collettore, il Contestabile, ero poi quello che toglieva la coperta ai due Configuranti, dunque conosco i tempi e i ritmi del ballo e della musica: ma nonostante questo riesce sempre a emozionarmi moltissimo e ormai lo seguo sempre, ce l’ho nel sangue.