Nel Tempo dei Lupi – recensione di Pia VIale

Bellissimo, bravo Giacomo.
Ci voleva un bel viaggetto “di ritorno”, in mezzo a questo andare “non si sa dove”. Oddio, ho tribolato un paio di notti, in cui il mio sonno è stato turbato, ma ciò non è altro che un indicatore della capacità di penetrazione delle cose lette nel romanzo, e allora ben vengano.
Penso che in tutte le epoche ci siano stati uomini che hanno avvertito il disagio della vita che erano chiamati a vivere: la conoscenza è sempre stata un percorso irto di difficoltà e di sofferenza, nonché di gioie. Tu, Giacomo, sei stato capace, in quest’epoca di tanto-niente, a riportare la connessione laddove l’umano può ancora “sentire” di essere umano. In particolare, un viaggio nell’esplorazione del maschile e, come donna, lo dico con molta approvazione, perché rappresenta per me una grande attrazione, uno spiccato piacere di conoscere e capire l’uomo in quanto maschio.
Lassù, nella zona di Abenìn, c’erano tre tipologie di maschi: Giusé, Guido e i tre francesi; di femmine c’era solo lei, la lupa. Giusé, il primordiale, capace di affrontare la vita, in qualche modo il maestro; Guido, il moderno, che si risveglia, in men che non si dica, al richiamo ancestrale e i tre francesi, mediocri, ignoranti fino in fondo, senza possibilità di riscatto. Infine la lupa, intelligente, istintiva, insondabile, che “comunica” esclusivamente con il “sentire”.
Diventa sempre più raro inseguire il proprio “sentire”… E sicuramente quest’epoca che dovrebbe favorirlo, grazie all’espandersi indefinito della “comunicazione”, ci sta depistando ogni giorno di più. Anche chi è rimasto più a lungo a contatto con la natura (ahimè, tutto sommato sono rimasta una campagnola!), non è stato agevolato, perché la modernità ha contaminato tutti.
Le contraddizioni, peraltro spassosissime nella prima parte del libro, sono all’ordine del giorno, nel momento in cui ci si sofferma a riflettere sullo stato delle cose e su come ci siamo calati dentro..
La salvezza da questo caos si chiama “sensibilità” che, insieme all’intelligenza narrativa, si percepisce nel libro come elemento sostanziale, dall’inizio alla fine: il protagonista scruta ogni cosa, senza appartenere in realtà a nessuna, al fine di poter percorrere fino in fondo la propria strada. La sensibilità lo rende consapevole, capace, ma al tempo stesso fragile.
In quel “sentire” è la bellezza, il reale, il vero. Ci si sente vivi attraverso il “sentire”. Siamo troppo abituati al “pensare” e all'”agire” e diamo sempre meno spazio al “sentire”, alla sintonia con noi stessi o con altre persone o con gli animali o con la natura o con l’universo. E ciò crea solitudine.
Se l’anima vive, se l’anima sente… lì è la “grande” bellezza.
La storia è bella, scritta bene, divertente nella prima parte e a tratti inquietante: una suspence doverosa (forse quella che ha agitato il mio sonno…) ed infine decisamente seria. Sono rimasta male quando hanno sparato all’antenna, anzi malissimo! Non perché fosse importane Internet a Abenìn, ma… perché mi piace che si possano realizzare le cose (dicesi: Candu in tavagliu l’è fau, l’è fau) e non distruggerle! Non avevo dubbi sulle tue finezze, incastonate come perle preziose in una collana; fresche e scorrevoli le descrizioni del paesaggio e della natura: era come esserci!
Continua, né!
Ciao, anima bella…
Pia

2 commenti

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2 risposte a “Nel Tempo dei Lupi – recensione di Pia VIale

  1. Mi piace quando le persone si incontrano. Stare
    insieme e condividere idee. Grande sito, continuate il buon
    lavoro !

  2. Veramente da tanto non sentivo dire “Candu in tavagliu l’è fau, l’è fau”
    massime del dialetto da conservare 😉

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